DANIELE TIMPANO
13 aprile - 15 aprile 2012
Palladium
da € 15 a € 10
Con
Aldo morto. Tragedia, un monologo ideato, realizzato e interpretato da
Daniele Timpano, tornano gli anni di piombo, e il loro apice tragico, il
rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, visti da una delle personalità
emergenti della scena italiana in un’ottica idealmente spericolata, ma
rispettosa delle persone. Nato nel 1974, nei giorni del sequestro Moro,
Timpano aveva appena quattro anni e dunque non poteva vivere
coscientemente ed emotivamente uno dei momenti più drammatici della
storia italiana. Il suo perciò è lo sguardo di chi ne ha preso
conoscenza dopo e lo spettacolo, che nasce da una raccolta di materiali
eterogenei ma di ampio respiro, non mira a ricostruire il sequestro e
l’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana da parte delle
Brigate Rosse, ma punta soprattutto a una evocazione degli anni ’70.
Un’Italia che non c’è più, fatta comunque di italiani che in molti casi
ci sono ancora: un’epoca che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di
parole, spesso segnata dalla drammatica lacerazione tra “verità” e
“immagine”. E Timpano si avventura in questa lacerazione passando
attraverso un corpo, anzi una salma, nello stile di alcuni suoi lavori
precedenti come Dux in scatola con Mussolini, e Risorgimento pop con
Mazzini e Garibaldi. L’umorismo, spesso un umorismo nero, e
l’anticonformismo sono la cifra di Timpano, che come attore ha
collaborato con Massimiliano Civica, Francesca Romana Coluzzi,
Michelangelo Ricci, per intraprendere poi la strada di drammaturgo con
lavori suoi che si inseriscono nel filone del teatro di narrazione. Il
suo stile rielabora la dimensione surreale cabarettistica, la
trascinante scompostezza del guitto, la verve del mattatore, dando vita a
una narrazione che nega sé stessa, procedendo per salti logici con una
leggerezza che lascia filtrare argomenti tragici e perfino drammatici.
Nel caso di Aldo morto c’è il confronto con un’epoca di cui oggi molto
si parla e poco si conosce, e con argomenti spinosi e spesso afflitti da
pietismo posticcio, per cogliere il nocciolo umano della vicenda,
quello di «Aldo vivo», fino a giungere al confronto con la morte e anche
oltre, alla distruzione dell’uomo che diventa immagine e poi icona.
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